Collezione Museo della Figurina

Collezione Museo della Figurina

La Collezione Museo della Figurina, unica nel suo genere e aperta al pubblico dal 2006, raccoglie oltre 500.000 piccole stampe a colori che nel 1992 sono state donate al Comune di Modena dall'imprenditore Giuseppe Panini, fondatore dell’omonima azienda assieme ai fratelli. 

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Oltre alle figurine propriamente dette, la raccolta comprende materiali affini per tecnica e funzione come scatole di fiammiferi, bolli chiudilettera, carta moneta, menu, calendarietti, album pubblicati dalle ditte per contenere le serie di figurine o creati per passatempo dai collezionisti. 

Circa 2500 pezzi sono attualmente esposti nella sala museale, mentre la restante parte è conservata all'interno dell'archivio, consultabile dagli studiosi su appuntamento. 

La collezione è sempre visitabile in concomitanza con l'apertura delle mostre.

Consulta il programma mostre per visionare gli orari aggiornati. 

L'esposizione permanente all'ultimo piano di Palazzo Santa Margherita presenta circa 2.500 pezzi tra figurine, album, cigarette card e molte altre tipologie di materiali. Accanto alla permanente, una vetrina ospita le mostre temporanee, volte ad approfondire tematiche specifiche: tali mostre permettono al pubblico di conoscere, volta per volta, porzioni del patrimonio del museo, costituito da circa 500.000 esemplari.

Di seguito si riportano i nuclei più significativi conservati dal Museo.

Gli antecedenti delle figurine

Le figurine, pur avendo caratteri innovativi e specifici quali la funzione pubblicitaria e una spiccata vocazione laica, presentano alcune caratteristiche che già si ritrovano nelle stampe precedenti, dalle quali vengono influenzate anche dal punto di vista iconografico.

L'affinità con alcune tipologie di stampe più antiche è documentata da diversi materiali conservati nel cosiddetto 'Fondo antico', comprendente incisioni d’epoca e matrici originali. Appartenenti ai secoli XVII, XVIII e XIX, questi materiali possiedono alcune delle caratteristiche che si ritrovano successivamente nelle figurine, come ad esempio il titolo, le didascalie, il piccolo formato e, soprattutto, la serialità, ovvero la suddivisione degli argomenti in sequenze di immagini numerate. Nel corso dei secoli le stampe andranno progressivamente laicizzandosi e affrancandosi dalla funzione di precetto e di culto che le aveva generate, per evidenziare quell’aspetto satirico, cronachistico, ma soprattutto di divulgazione delle conoscenze, destinato a favorire la volontà squisitamente enciclopedica che caratterizzerà l’universo delle figurine.

Le pietre cromolitografiche

La nascita della figurina e la grande diffusione di immagini nella seconda metà dell’Ottocento furono dovute ad un metodo di stampa destinato a rivoluzionare il mondo delle arti grafiche: la cromolitografia, il cui brevetto ufficiale fu depositato a Parigi nel 1837 da Godefroy Engelmann (1778–1839), basata sull'utilizzo di lastre di pietra di Kehlheim o di Solnhofen. Benché già con l’incisione si ottenessero stampe policrome utilizzando matrici di colori diversi oppure acquerellando le stampe a mano, la cromolitografia rese possibile la produzione di una grande quantità di immagini a basso costo. Inoltre, rispetto alle tecniche precedenti, ampliò la gamma cromatica e consentì una precisione di dettagli fino ad allora impensabile. Alla base della tecnica cromolitografica si trova l’invenzione della litografia, nata a Monaco nel 1798 dalle sperimentazioni di Aloys Senefelder (1771-1834) ed inizialmente impiegata per la riproduzione di spartiti musicali. Il Museo conserva svariate pietre cromolitografiche utilizzate come matrici delle figurine.

Le prime figurine e la diffusione

Le prime figurine, con tutta probabilità, nacquero in Francia nella seconda metà dell’Ottocento, ma si diffusero rapidamente nel resto dell’Europa e negli Stati Uniti grazie al fertile incontro tra la stampa cromolitografica e le esigenze pubblicitarie create dalla rivoluzione industriale. Per molti aspetti diverse da quelle attuali, le figurine ottocentesche consistevano in piccole stampe a colori recanti un messaggio pubblicitario. Generalmente prodotte in serie di sei o di dodici, accomunate da uno stesso soggetto, venivano date in omaggio da negozi e grandi magazzini, per invogliare i loro clienti a tornare. Questa formula si rivelò un incentivo all’acquisto talmente azzeccato che ben presto le varie litografie iniziarono a stampare immagini apposite, lasciando in alcuni casi degli spazi bianchi costituiti da cartigli, cartelloni, vele ed altro, che permettevano di inserire in maniera più artistica il messaggio. 

Chi usò in maniera vincente i versi delle figurine fu Aristide Boucicaut, fondatore  a Parigi nel 1852 del grande magazzino Au Bon Marché, primo grande punto vendita polivalente, reso celebre nel 1883 dal romanzo Al paradiso delle signore di Zola. 

Dopo la Francia, anche altri Paesi cominciarono a stampare figurine: tra le più note si ricordano quelle legate alle ditte di cioccolato svizzere e tedesche, come le Suchard e le Stollwerck, e quelle italiane dei concorsi a premio, come la figurina del feroce Saladino del Concorso Perugina-Buitoni.

La Liebig

Un discorso a parte merita la collezione Liebig, di cui il Museo possiede oltre 44.000 figurine: senza dubbio la storia delle figurine non sarebbe stata la stessa senza l’apporto essenziale di questa azienda che più di ogni altra ha legato il proprio nome ai cartoncini stampati. Distribuiti inizialmente in maniera saltuaria, e in seguito col sistema dei buoni punto, divennero il principale veicolo pubblicitario della ditta che, tra il 1874 circa e il 1975, pubblicò 1871 serie. Grazie alla bellezza delle immagini il successo fu universale, come si evince dalle edizioni in francese, tedesco, italiano, fiammingo, inglese, spagnolo, olandese, svedese, danese, boemo e ungherese. 

La ditta non produsse solo figurine, ma un’enorme quantità di gadget e di oggetti stampati, quali menù, segnaposti, sottobicchieri, calendari e molto altro. 

La formula del famoso estratto di carne fu pubblicata nel 1847 dopo diversi anni di studi, ma secondo la leggenda fu scoperta da Justus von Liebig, dopo aver passato una notte intera nel suo laboratorio alla ricerca di una cura per un’amica della figlia malata di tifo. Per capire quanto fossero noti i prodotti Liebig basti sapere che quando Stanley intraprese il viaggio in Africa alla ricerca di Livingstone, si dotò del vasetto Liebig; stessa cosa fecero gli scalatori del K2 nel 1954; persino Jules Verne fece gustare ai protagonisti del suo Intorno alla Luna delle saporitissime tazze di brodo Liebig.

Trade & Cigarette card

Le cigarette card rappresentano una particolare tipologia di figurine che ha origine negli Stati Uniti intorno agli anni Settanta dell'Ottocento. 

Esse nascono da una necessità pratica, ovvero il bisogno di rinforzare i pacchetti di sigarette con dei cartoncini che gli consentissero di non schiacciarsi se posti nelle tasche. Inizialmente questi venivano stampati con semplici riproduzioni dell’emblema della ditta, poi le industrie si accorsero che introducendo immagini a colori il prodotto diventava più accattivante e le vendite aumentavano. Non solo, questo contribuiva anche a consolidare un certo segmento di clientela che, pur di collezionare le figurine, acquistava periodicamente la stessa marca di sigarette.

Questo tipo di figurine si ritrova in due formati differenti per via dei due diversi pacchetti che contenevano 10 o 20 sigarette. Tali standard divennero così riconoscibili da essere usati anche per le figurine pubblicitarie di prodotti differenti, quali saponi, tè, amidi e molto altro, prendendo in questo caso il nome di 'trade card'. 

Calendarietti

I calendarietti tascabili, di cui il Museo possiede oltre 1000 esemplari, venivano offerti dal barbiere al suo cliente per porgergli dei simpatici auguri, ma anche per ottenerne una mancia di ritorno. Inoltre il 'dono' non era fine a se stesso, in quanto fungeva perfettamente da gadget pubblicitario, riservando una porzione di spazio al nome dell’azienda, utile promemoria per i clienti. 

Distribuiti inizialmente, tra gli anni Sessanta e Ottanta del XIX secolo, nei grandi magazzini, nelle profumerie e nei negozi da parrucchieri come veicolo pubblicitario di profumi, cosmetici e saponi della cui fragranza venivano abbondantemente umettati, i piccoli almanacchi divennero ben presto oggetti ad uso quasi esclusivo dei barbieri. 

Concepiti come un calendario olandese di dimensioni ridotte recante i mesi, i giorni, i santi e le festività, i calendarietti erano spesso arricchiti di immagini accattivanti e di notizie utili e rappresentano oggi documenti preziosi anche dal punto di vista della storia della grafica, poiché frequentemente disegnati e firmati da artisti famosi. 

Menu

In genere il menu è un cartoncino rettangolare, ma può avere altre forme, come ad esempio quella 'a libro': doveva contenere le portate e i contorni nell’ordine di servizio, i vini, il luogo e la data. Veniva stampato in più copie e messo a disposizione dei commensali, che potevano conservarlo in ricordo dell’occasione.

La diffusione del menu avvenne in Francia e raggiunse ottimi livelli qualitativi durante la Belle Epoque, anche per la portata rivoluzionaria dell’avvento della cromolitografia. 

Per la loro potenzialità pubblicitaria, i menu potevano essere offerti a svariate ditte o attività come ristoranti, negozi, case produttrici di champagne, liquori, bevande e cioccolato, e spesso venivano fatti uscire in serie numerate.

Il menu pubblicitario continuò ad avere fortuna perlomeno fino alla seconda guerra mondiale, per poi scomparire con l’avanzare di più sofisticate forme promozionali.

Etichette d'albergo

La collezione di etichette d'albergo Gambini-Ruggiero, costituita da circa 7500 pezzi, prevede una suddivisione a carattere geografico entro quattordici raccoglitori: i primi due sono dedicati all'Italia e, di seguito, si susseguono Andorra, Austria, Belgio, Bulgaria, Cecoslovacchia, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gibilterra, Grecia, Inghilterra, Irlanda, Islanda, Polonia, Portogallo, Romania, Russia, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria, Jugoslavia, Africa e Asia, America e Australia.

Le etichette d’albergo nacquero per evitare di scambiare i bauli da viaggio o per identificare la stazione o il porto d’arrivo. Ma a partire dagli anni Settanta dell’Ottocento, le etichette da incollare ai bagagli divennero uno dei principali mezzi pubblicitari degli hotel e al contempo furono identificate dalla borghesia come il modo più semplice ed eloquente di autocelebrarsi: non più simboli araldici e blasoni, ma moderne etichette dalla grafica accattivante, testimonianze del dinamismo dei globetrotter e dei loro potenziali economici. 

Bolli chiudilettera

Tra i materiali conservati in museo si trova la seconda più importante collezione di bolli chiudilettera al mondo - per un totale di circa 65.000 pezzi - una parte della quale è costituita dal fondo Gambini-Ruggiero, che data dalla fine dell'Ottocento fino agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso.

Oggetti desueti da almeno cinquant'anni, i chiudilettera o erinnofili dal tedesco 'Erinnerung' (ricordo), venivano prodotti con l’obiettivo di pubblicizzare un prodotto, una manifestazione pubblica, per propaganda politica o per commemorare un evento. Erano distribuiti gratuitamente, anche se nel tempo alcuni vennero venduti a scopo di beneficenza. In questo caso avevano un valore facciale, perché assumevano la funzione di sottoscrizione pubblica a sostegno di situazioni di grave necessità: ad esempio, per i terremotati di Messina e Reggio Calabria (Pro Sicilia e Calabria, ca. 1909), gli orfani di guerra, i mutilati e invalidi. In tutti i casi servivano per sigillare le buste da lettera o anche solo per decorarle. 

Si può dire che il chiudilettera discenda per funzione dalla ceralacca, che serviva per chiudere a caldo le lettere quando queste non avevano ancora la busta e, per la forma, dal francobollo.

Notgeld

Nonostante abbiano caratteristiche affini alle figurine, ovvero siano riccamente illustrati, pubblicati in serie, di piccole dimensioni, i Notgeld non sono però ad esse assimilabili in quanto non venivano donati come gadget e non avevano funzioni pubblicitarie. Il termine tedesco si riferisce, infatti, alle cosiddette 'banconote d’emergenza' utilizzate in diversi Paesi, soprattutto Germania e Austria, per fronteggiare situazioni particolarmente gravi dal punto di vista economico. La loro massima diffusione avviene in momenti di difficoltà di circolazione monetaria, quali i due conflitti mondiali e i primi anni della Repubblica di Weimar. Diverse amministrazioni cittadine, associazioni, banche e società private iniziarono ad emetterli già intorno al 1914 per ovviare alla scomparsa di monete sottratte alla circolazione dalla popolazione, che le conservava perché contenenti minime percentuali d’oro o d’argento. Avevano quasi sempre tagli inferiori al marco e alla corona, erano privi di corso legale, ma venivano accettati come mezzi di pagamento. 

Giornalini per ragazzi

Tra le diverse collezioni presenti in Museo si trova un consistente fondo di giornalini per ragazzi donato nel 1999 da Ruggero Tagliavini e Anna Maria Roccatagliati di Modena. Costituito da 851 periodici italiani che vanno dal 1812 agli anni Cinquanta del Novecento, esso contribuisce a documentare in modo significativo parte della storia dell'editoria per ragazzi. 

Tra i titoli più rilevanti si ricordano «Topolino» (in Italia la prima striscia di Mickey Mouse apparve nel 1930 sulla «Illustrazione del Popolo») e il «Corrierino», il più longevo di tutta la stampa periodica giovanile. 

Un cenno merita l’editoria segnatamente dedicata ad un pubblico di piccole bambine, caratterizzata da rubriche e consigli di giardinaggio, cucina, ricamo, economia domestica, atti a formare perfette padrone di casa, madri integerrime e devote mogli, che proseguì fino agli anni Cinquanta.

Dopo questo decennio, il giornalino tradizionale subì un declino a causa sia dell’emergere dei fotoromanzi, sia dell’avvento della televisione.

Vale la pena di sottolineare che, dagli esordi agli anni Cinquanta, sono apparse sul mercato circa trecento testate: un fenomeno sorprendente se si considera lo stato di analfabetismo e di indigenza in cui versava il nostro paese. 

Fustellate

La passione e l’incanto ottocentesco per le immagini a colori si manifesta in particolar modo in quell'originalissimo modo di raccoglierle e conservarle rappresentato dagli scrap book, letteralmente 'libri di ritagli'. Si tratta di libri in cui, attraverso tutto l’assortimento reperibile di carte stampate, in particolar modo figurine e scatole di fiammiferi, il collezionista costruiva pagine secondo il suo particolare gusto estetico, ornandole con cornici o bordure di vario tipo e utilizzando tutto ciò che veniva considerato degno di essere tramandato. Questo anticipa quella che sarebbe diventata un’esigenza, ossia la pubblicazione di album per la raccolta delle serie di figurine. 

Un’altra peculiarità riscontrabile frequentemente tra gli appassionati di scrap book è la propensione a ritagliare non solo i libri, ma anche, seguendo i bordi, le figure stampate su fogli sciolti di formato rettangolare. Tale scelta si può spiegare solo con una motivazione estetica, cioè la predilezione verso immagini sagomate, piuttosto che inquadrate in forme più o meno standardizzate. Tutto ciò rimanda ad una speciale tipologia di figurine che rispecchia il gusto della forma tondeggiante o frastagliata: le figurine fustellate, spesso anche goffrate, cioè dotate di rilievi. 

Scatole di fiammiferi e fascette di sigari

Le immagini riportate sulle scatole dei fiammiferi, da un lato fornivano una vera e propria cronaca degli avvenimenti contemporanei e dall'altro una sorta di catalogazione enciclopedica del mondo; assolvevano quindi sia il compito di educare bambini e adulti, sia quello di dare una visione ironica e graffiante della società, sostituendosi in qualche modo a giornali e pamphlet. Le immaginette, che frequentemente venivano ritagliate e incollate su scrap-book, erano utilizzate pure come elementi d’arredo dalle massaie che le cucivano insieme per farne paralumi, centrini, tappetini, paracamini e paraventi. 

Tra i materiali illustrati legati al fumo, le fascette dei sigari vantano addirittura origini nobili. Pare infatti che l'artefice della loro invenzione sia stata nientemeno che Caterina II la Grande, zarina di Russia e appassionata fumatrice, nel tentativo di evitare lo spiacevole inconveniente giallognolo lasciato sulle dita dalla combustione del tabacco. Secondo altre fonti, invece, l’iniziatore della nuova moda di inanellare il sigaro fu Gustavo Bock, commerciante europeo trasferitosi a Cuba, per proteggere sì le dita dei fumatori, ma anche per rinforzare la foglia esterna che tiene unito il sigaro, nonché per contraddistinguere con una sorta di marchio la propria produzione. Il collezionismo di fascette di sigari prende il nome di 'vitolfilia'.

La figurina moderna

Gli anni Cinquanta vengono considerati l’epoca d’oro degli album, i quali cominciarono ad essere venduti nelle edicole insieme alle figurine e ad essere dotati di didascalie esaurienti e serie corpose.

La rinascita delle figurine avvenne dalla fine degli anni Quaranta, dopo la crisi dovuta alla carenza cronica di carta e ai problemi di sostentamento durante e dopo la seconda guerra mondiale (non c'era più nulla da pubblicizzare). 

Sono le imprese sportive del dopoguerra - di Bartali e Coppi, del grande Torino - a dare slancio alle iniziative di piccole ma vivacissime case editrici che, sfoderando creatività e sperimentando nuove formule, conducono in pochi anni la figurina al rango di filone editoriale a sé stante, svincolandola dal legame con altri prodotti. Tra le principali case di produzione si ricordano la Nannina, la Lampo, la Casa editoriale Vecchi, la B.E.A; nonostante la nascita di questi editori 'puri', negli anni Cinquanta non mancarono comunque le figurine pubblicitarie, tra cui ad esempio le famose Lavazza.

Ancora all’inizio degli anni Sessanta le case editrici di figurine erano piuttosto numerose.

Figurine Panini

Entrato in contatto con l’Editrice Nannina di Milano con la sua Agenzia di distribuzione giornali gestita insieme ai fratelli a Modena, Giuseppe Panini acquista, sul finire del 1960, le figurine invendute della serie Gol-album gigante, versione ingrandita dell’omonima raccolta di piccolo formato. Confezionandole in bustine con l’aggiunta di un palloncino,  ottiene un ottimo risultato di vendita, che lo induce a diverse ristampe. All’inizio della stagione calcistica 1961-62, avvia la creazione della prima collezione di figurine a marchio Panini, intitolata Calciatori: realizzato in modo artigianale, quest’album già contiene gli ingredienti che ne faranno un fenomeno editoriale negli anni successivi. Modena assiste così alla fondazione delle Edizioni Panini.

Replicato il successo nel 1962-63, vi sono le condizioni per la nascita di una vera e propria azienda: i quattro fratelli Giuseppe, Umberto, Benito e Franco Cosimo Panini sono presto uniti, ciascuno con la sua specializzazione, nella gestione dell’attività. 

Nel 1965 fa la sua prima apparizione sulla copertina dell’album, per poi rimanere una costante delle bustine, la rovesciata di Carlo Parola, giocatore della Juventus, tratta da una foto poi rielaborata dall'artista modenese Wainer Vaccari.

Il 1970 rappresenta l’anno della svolta. Di Mexico 70, la collezione dedicata ai Campionati del Mondo di calcio, vengono realizzate due versioni: se una è prodotta esclusivamente per il mercato italiano, l'altra è la prima Panini concepita per il mercato internazionale, con testi e didascalie multilingue in inglese, francese e tedesco. Viene elaborata una formula redazionale che consente minimi adattamenti per le versioni locali, salvaguardando il corpo centrale dell’album e, soprattutto, le figurine. Queste possono così circolare liberamente in ogni Paese, con evidenti vantaggi di natura distributiva. La magia della bustina, da qui in avanti, si espande nel mondo intero. 

In breve tempo nascono aziende consociate un po’ in tutta Europa, negli Stati Uniti (dove la vendita procedeva attraverso i chioschi di dolciumi e hot dog, unici canali assimilabili alle edicole europee) ed in Canada. In altri Paesi la distribuzione viene appaltata a concessionari locali, rigidamente controllati dalla casa madre modenese, fulcro produttivo, dalla redazione delle immagini all’imbustamento. 

Donazioni

Il Museo della Figurina non esisterebbe senza la donazione di Giuseppe Panini, indubbiamente uno dei più grandi collezionisti italiani. Tra le sue passioni non solo figurine, ma anche fotografie e cartoline, volumi, riviste e fascicoli di enigmistica e fisarmoniche.

Grazie anche alle continue e generose donazioni di collezionisti e appassionati, il Museo ha potuto continuare nel tempo ad incrementare le proprie raccolte. I materiali donati, conservati nell'archivio del Museo, e in parte visibili all'interno della mostra permanente, vengono esposti nelle mostre tematiche organizzate periodicamente.

Elenco dei donatori:

  • Mario De Filippis
  • Antonio Mascolo
  • Ruggero Tagliavini e Anna Maria Roccatagliati
  • Donazione Roveri
  • Francesco, Antonio, Anna Maria e Tiziana Panini
  • Museo Civico di Modena
  • Annalisa Malavolta
  • Franco Diotallevi
  • Franco Dominianni
  • Grani & Partners
  • Miroslav Benassi
  • Nadia Lodi Detlef Lorenz
  • Anna Toscano
  • Jorge Henrique
  • Giovanni Spagnuolo
  • Carlo Olivieri
  • Bruna Toselli e Giuseppe Vincenzi
  • Angelo Sola
  • Dino Motta
  • Vittorio Pranzini
  • Luciano Quartara
  • Eliana Farotto
  • Paola ed Enrico Zanotto
  • Mauro Zanichelli
  • Horst Machalz
  • Mario Bianchi
  • Carlo Bellucci
  • Mauro e Gianpietro Salomoni
  • Orlando Nelson Pacheco Acuña
  • Angela Lorenz
  • Gisella Barberini
  • Donazione Tabili e Santoloni
  • Manuel Vaccari
  • Gianni Valbonesi
  • Paolo Santini
  • Federico Meda
  • Fol-Bo, Rastignano (BO)
  • Federica Graziosi
  • Il salotto del libro di Taglio di Po
  • Maurizio Puviani
  • Maria Malpighi
  • Franco Chiarini
  • Carmela Deidda
  • Luciano Marrucci
  • Antonia Rubichi
  • Maurizio De Paoli
  • Piera Martinelli
  • Moreno Moretti

 

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